Mafia Capitale e Tor Sapienza: chi ci ruba il futuro?

Le vicende di Tor Sapienza e di Mafia Capitale hanno scardinato un bel po’ di dicotomie, acceso vecchie dinamiche di potere e di razzismo e chiarito alcune che potrebbero sembrare contraddizioni.

Il dispositivo umanitario è dispiegato: le cooperative che svolgono progetti per aiutare migranti in difficoltà e richiedenti asilo e gestire campi rom sono le stesse che mantengono rapporti con gruppi di estrema destra, che della campagna anti-immigrati si sono nutriti, e con politici di turno. Oltre alle ovvie implicazioni di profitto economico, si rende evidente il fatto che le cooperative svolgevano esattamente una funzione di governo del fenomeno migratorio tenendo insieme l’aspetto caritatevole con quello repressivo: da un lato l’assistenza di “poveri” richiedenti asilo, dall’altra il loro confinamento in non-luoghi dell’accoglienza, da un lato l’evidenza di svolgere un lavoro di solidarietà sociale, dall’altro la produzione di un sistema che crea emarginazione. Questi aspetti, a ben guardare, non sono contradditori, ma complementari e portano ad una conclusione ancora più stupefacente, che ha prodotto per anni un circolo produttivo che ha fatto muovere milioni di euro: la gestione emergenziale delle migrazioni, ormai in atto da circa 25 anni, risponde infatti ad un meccanismo in cui l’assistenza, il supporto e l’accoglienza dei migranti coincide con il loro occultamento e con la negazione della loro dignità. Il risultato è la produzione ad hoc della paura sociale, che ha sfociato poi nei fatti di Tor Sapienza, dove il sentimento dell’invasione (“non siamo liberi di mandare i nostri figli al parco perché ci sono loro”, “non siamo libere di girare per strada perché ci sono loro” “sono dappertutto”) ha fatto tutt’uno con la sensazione di aver perso quei pochi ammortizzatori sociali che vi erano prima e che adesso sarebbero andati tutti in favore degli immigrati.

Et voilà il gioco è fatto: la paura sociale fa sì che i migranti sia sempre più occultati e rinchiusi in centri-ghetto-parcheggio per non farli vedere alla popolazione e che le cooperative possano lavorare indisturbate mostrando di svolgere un lavoro degno di lode ed onore, perché “umanitario”. E così quegli stessi fascisti che a Tor Sapienza tiravano le bombe carta sul centro di accoglienza sono quelli che sui migranti ci lucravano. Sono quelli i manovali della spranga e del coltello, di cui, oggi è chiaro, la cupola capitolina soleva servirsi per i lavoretti sporchi (un po’ come il grosso criminale denuncia il piccolo, per distrarre il lavoro della polizia, per placare l’opinione pubblica, per evitare il problema della concorrenza). Fomentare il razzismo per tenere i migranti in scacco e continuare il loro business. Fare le cooperative di sinistra caritatevoli quando c’era da avere i favori da Odevaine e mantenere una certa facciata. Buzzi e Zuccolo sono l’emblema perfetto di questo meccanismo perverso: le cooperative rosse e cattoliche alleate con l’estrema destra accogliendo e reprimendo i migranti riempiendosi intanto le tasche.

Ma ora che finalmente la violenza intenzionale e reiterata, la corruzione, l’interesse senza frontiere, la minaccia e la barbarie dell’affare migranti diventa spettacolo, noi di Laboratorio 53 ne assistiamo come ubriachi, di un vino amaro di cui da tempo conoscevamo bene il sapore.
Dai nomi degli incriminati che sfilano sulle pagine dei giornali molti i ricordi che affiorano: quando andavamo al dipartimento delle politiche sociali del Comune di Roma a denunciare botte, acqua fredda e cimici, scabbia e dolore dentro quei centri. Quando chiedevamo di leggere la convenzione stipulata tra il Comune e centri di accoglienza, un atto pubblico, e ci dicevano che eravamo troppo piccoli per occuparcene, negandoci l’atto. Quando come singoli lavoravamo dentro i centri e nel voler offrire un’idea di autonomia, un piano di co-gestione degli spazi e di progettualità con gli ospiti migranti pareva fossimo il braccio armato dei guevaristi. Come Odevaine ha gestito più di dieci anni fa il grande sgombero dei Magazzini della Stazione Tiburtina – l’Hotel Africa lo chiamavano, con più di mille richiedenti asilo e rifugiati del Sudan, Eritrea ed Etiopia – noi ce lo ricordiamo benissimo. Un attimo dopo lo sgombero ecco arrivare il gran circo dell’accoglienza, dove chi un giorno prima ti è affianco come volontario filantropo la mattina dopo diventa gestore sanguinario di un centro. Allora resistere significava che una lamiera messa a parete della propria stanza e un bagno per 100 persone è meglio dell’accoglienza istituzionale, più vera, più sincera. Questo abbiamo imparato.

Testimoniamo 10 anni di appalti corrotti, bandi invisibili e misure di emergenza, un affare che frutta più della droga, più delle armi, un business pigliatutto che fa leva sul lecito quanto sull’illecito, che importa, dalla ristorazione alla vita migrante, dai rom all’edilizia popolare, dal catering allo sportello legale. Così un giorno come un altro il gestore del CIE di Ponte Galeria fa a cambio col CARA di Castelnuovo di Porto, e un altro la Cascina Ristorazione compra la Domus Caritatis e diventa il capo dell’accoglienza rifugiati. Che importa, la barca va dove girano i soldoni.

Carminati, Buzzi, Odevaine e gli altri una cosa ce l’hanno insegnata: la politica non si fa più in termini di destra e sinistra. Dietro questi schieramenti c’è un bel banchetto pronto per tutti.
E, trasversalmente, anche un’altra cosa ci dicono: basta arenarsi dietro ideologie filantropiche di buoni e cattivi. Che tu sia razzista o no (ed è facile che tu lo sia), non puoi più puntare il dito sui soliti negri che vengono a rubarci il lavoro, motivo della crisi economica, puzzolenti, ingombranti, fuori luogo e fuori tempo. Rom, rumeni, stranieri a vario titolo non sono loro i ladri. E’ Roma Capitale che ruba loro. E li ruba coi nostri soldi, coi soldo del bene comune, della res publica, appunto. Li ruba rubando noi.

Fatti come quelli di Tor Sapienza, naturalmente, possono esplodere solo sullo sfondo di una società fiaccata da decenni di degrado (politico, morale, sociale e infine anche economico). Il meccanismo su cui fare leva è antico come il mondo. Povertà di risorse e mezzi, tensione sociale, canalizzazione dell’aggressività, persecuzione del capro espiatorio. Questo permette di fare gruppo; scaricare il conflitto, ottenendo poco e subito, che è meglio di tanto e domani; alzare il polverone e nascondere così cause e conseguenze di problemi reali ed urgenti.
Tanto, nel momento in cui gli eventi vengono mediatizzati, tutto si perde in un vuoto abissale di senso. Lo diceva bene Guy Debord quasi 50 anni fa, tesi numero 9: “in un mondo realmente invertito, il vero è un momento del falso”. Il mondo realmente invertito è quello che allontana nella rappresentazione ciò che un tempo veniva vissuto. Lo spettacolo.. tutto è vero-non è vero niente.

E allora, gli abitanti di Tor Sapienza che urlavano “zozzi negri di merda che magnate i nostri sordi!” lo urlerebbero ancora oggi? Su questo punto vogliamo lavorare e tenere alta l’attenzione.

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